Ebbero a dir di me sull’ambiguità dell’essere, che mi rivolgo a uomo in cui riconosco la donna e che tento di ricreare nel ritrarla.
Quasi come a rubarne un pezzo e farla mia, quasi come ad inseguire l’altra metà di me ed immortalarla così che nell’immagine di lei mi specchi.
Dove non sono solo io ma due metà: di luce e ombra, di uomo e donna, di musica silente, di staticità creativa, sobrio sfarzo, timido egocentrismo, vita svanita che è morte.
Opposti coesistenti che ruvidi come la pelle di un rinoceronte e testardi avanzano lentamente, pesantemente ed incessantemente travolgendo, quant’anche superando e calpestando, tutto per raggiungere un obiettivo.
Che è ancora ambiguità nella solidità pesa dell’animale che materialmente sta; atono quasi a essere parte oggetto di un ambiente accanto al vibrare sensuale e sessuale poliglotta di interazione che mi porta a vagare ancor prima con la mente.